Protestantesimo italiano e cristianesimo antico.

Bisogna essere onesti e riconoscere che il protestantesimo italiano con la Storia del cristianesimo antico e la Patristica ha avuto un rapporto molto difficile tranne che per brevi lontani anni.

Chiariamo: la storia del cristianesimo antico riguarda gli anni che vanno dalla formazione delle prime comunità cristiane grosso modo a quelli della controversia iconoclasta (sec. IX) o anche prima. Importante è anche la ‘patristica’ termine con cui si indicano gli scritti degli autori di quel periodo, anche se sarebbe meglio parlare di “letteratura cristiana antica”.

V’è una perniciosa opinione comune, nutrita di pregiudizio quando non di crassa ignoranza, secondo al quale l’età successiva al Nuovo Testamento sarebbe tutto uno scivolone verso l’apostasia e la patristica consisterebbe nello studio dei detestati ‘santi’ del cattolicesimo. Vessato da tali ubbie il corpaccione dell’evangelismo italiano si è ben guardato dal leggiucchiare qualcosa che riguardasse tale àmbito cronologico. Male. Molto male. Chi studia la storia del cristianesimo riconosce immediatamente che tante problematiche attuali non sono altro che la reiterazione di questioni vetuste. Inoltre non possiamo pensare che la Bibbia ci sia rimbalzata dalla scrivania degli autori direttamente alla nostra, senza un lungo processo di trasmissione sia testuale che esegetica. Proprio così: la teologia altro non è se non l’esegesi biblica, e questo risulta evidente da ogni pagina di scrittore cristiano antico.

Vi fu un’epoca in cui queste materie erano ricorrenti sulle labbra dei predicatori evangelici. Era l’epoca gloriosa che segnò l’inizio dell’evangelizzazione dell’Italia. Quei pionieri erano prevalentemente preti o frati convertiti all’Evangelo. Portavano nel loro bagaglio culturale solide conoscenze di patristica e le usavano per dimostrare che la chiesa dei primi secoli era cosa ben diversa da quella papalina. Si rileggano le pagine di un Luigi De Sanctis o di un Alessandro Gavazzi, ad esempio, e si ammiri come l’esegesi evangelica di un brano biblico era confortata dall’argumentum patristicum, cioè dal recupero del parere degli antichi scrittori cristiani.

Ricordo come quando da giovane abbracciai la fede evangelica fiorivano a me d’intorno controversie sull’autentico significato dei brani biblici che io citavo a sostegno della mia scelta; la discussione si avviava a un chiarimento quando si chiamavano in causa le interpretazioni degli antichi autori cristiani che paradossalmente sempre non giustificavano quelle che sarebbero state le successive manipolazioni esegetiche della Chiesa Romana.

Fu allora che iniziai ad amare la storia del cristianesimo dei primi secoli e la sua letteratura. E di questa mire feci scelta di studio ed esercizio di professione.

In casa protestante la giornata dei predicatori patrologi fu fulgida ma breve, troppo breve. L’interesse per quei temi calò fino a scomparire. E così il protestantesimo pensante italiano (e qui mi riferisco in primis alla Chiesa Valdese a cui va comunque il merito d’esser stato laboratorio) si concentrò sul pensiero di Karl Barth il quale, prendendo le distanze dl suo maestro Adolf von Harnack prese le distane anche dall’interesse per il mondo dei cristiani antichi che quest’ultimo tanto copiosamente e autorevolmente aveva illustrato.

Prova di quanto affermo la si ricava dall’offerta formativa della Facoltà Valdese, istituzione principe per la formazione del corpo pastorale e non solo. Qui sempre sono fioriti gli studi di Nuovo Testamento, e la memoria corre nostalgica a una figura di gentiluomo prima ancòra che di studioso come Bruno Corsani, per non parlare dello stimato Redalié e di Eric Nofke dal quale ci si aspetta l’ottimo che la sua competenza e il suo stile sapranno offrire. Poi v’è il doveroso studio del movimento valdese medioevale. Altro salto: si giunge alla Riforma. Il grande assente, lo avrete capito, è il cristianesimo dei secoli dal secondo all’undicesimo, e giù giù fino a Lutero. Della patristica neanche l’ombra. Peccato!

Una bella occasione fu persa quando un importante intellettuale cattolico, Fausto Salvoni, prese le distanze dalla sua chiesa, si attenne al dettato della Bibbia, si fece membro della Chiesa di Cristo. Con lui portò una enorme preparazione patristica e di cristianesimo antico. Tutto ciò avrebbe potuto portare come dote in casa protestante. Ma non vi fu spazio in Facoltà. Peccato!

Se guardiamo al mondo evangelicale la situazione è, ove mai fosse possibile, ancòra più deludente: un profluvio di traduzioni da autori americani che presentano il messaggio biblico come un’impresa di successo alla stregua della Coca Cola. Eppure quel messaggio di nuova nascita, di santificazione, di potenza dello Spirito come più eloquentemente fu recato dagli antichi nostri predecessori che calcarono le terre dell’Asia, dell’Africa e delle province romane tutte! Quanto meglio sarebbe la loro prosa a confronto di quella importata insieme alla gomma masticante ed al BigMac!

Il còmpito è enorme e una formica come me cos’altro ha potuto fare se non chiudersi in biblioteca ed offrire ai propri lettori, siano alunni della mia università, siano fratelli evangelici, un trattato di storia del cristianesimo antico. Ricordo come il responsabile delle edizioni Gruppi Biblici Universitari abbia accolto con entusiasmo la mia proposta di pubblicare questo libro che poi lievitò fino alle mille pagine. Ma Giacomo Carlo Di Gaetano, con la sensibilità dell’amico e il fiuto di chi i libri li conosce e li ama, non si tirò indietro aprendo gli spazi delle sue collane editoriali.

Giancarlo Rinaldi

Recensione del prof. Manlio Simonetti, accademico dei Lincei al volume Cristainesimi nell’antichità.

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